Continua la discussione sulla cultura a Torino

 Pubblichiamo l’intervento del Presidente Gianfranco Ragona, in risposta all’editoriale di Gabriele Ferraris apparso su “TorinoSette”, supplemento settimanale de “La Stampa”

 http://lastampa.it/2013/03/22/torinosette/sommario/la-settimana/a-mali-estremi-4vwG98nefdKDEecDStJzmL/pagina.html

 

“Il mondo capovolto”

L’editoriale di Gabriele Ferraris pubblicato il 23 marzo su “TorinoSette” è, come dire, crudo. Il che per molti sarà un pregio, perché dona chiarezza all’argomentazione; qualcuno invece rabbrividirà, perché le parole sono pietre, e non tutti abbiamo perduto la memoria.

Di fronte al dibattito sulla cultura a Torino e in Piemonte in svolgimento in questi giorni, che si badi dovrebbe essere ipso facto un dibattito sulle politiche culturali, quindi sulla politica, Ferraris avverte di evitare “giochetti di bassa macelleria politica”. Ma ci conduce comunque davanti al “bancone del macellaio”, reminiscenza hegeliana: la storia così com’è, senza fronzoli.

Non tutti possono salvarsi, ci spiega, recuperando il tanto bistrattato darwinismo, ma nella sua versione ideologica più inquietante: l’affermazione del più adatto, che si fa immediatamente giudizio morale e moralistico, per il macellaio, naturalmente. Del resto, “i soldi non ci sono più, e oggi è inutile recriminare”. Mentre leggo, mi chiedo cosa sia diventata la politica. Dovrebbe essere proprio questo: recriminazione, cioè la capacità e il coraggio di ammettere gli errori, di correggere il cammino, tornando sui propri passi fino a quando ciò sia possibile, per correggere gli esiti di scelte errate; la politica dovrebbe saper dire: “imbocchiamo un’altra strada”. Oggi invece sembra che nessuno si sbagli, che non ci siano responsabili; anche sui giornali, a guardar bene.

Chi si dovrebbe salvare, oggi? L’autore dell’editoriale è netto: Teatro Regio, il Museo del Cinema, il Circolo dei Lettori, la Film Commission, lo Stabile. Il catalogo è questo. Cioè chi è grande e forte: dove sta il coraggio, per favore? Sono trent’anni che si salvano i salvati, che si distribuisce il reddito dal basso in alto, che si fa “macelleria sociale”, e Ferraris continua a proporre che si diano ulteriori denari pubblici a costoro? Del resto l’editorialista è persuaso che sia “urgente razionalizzare, accorpare, ottimizzare spese e risorse”. Temendo di non esser stato abbastanza chiaro, soggiunge: “E – diciamola tutta – rinunciare ai rami secchi.” A rigore dovremmo aggiungere che ci sono troppe imprese assistite,  troppe banche salvate, troppi giornali in perdita, troppi giovani disoccupati… tutti rami secchi. Forse, anche troppo pluralismo. Del resto sui rami secchi sono aggrappati coloro che contestano la politica degli ultimi lustri, quella che ci ha portato nella situazione in cui siamo. La classe dirigente prende il sole sui rami più alti e vigorosi, fornendo indicazioni generali con piglio aristocratico.

E Ferraris, dopo la parentesi botanica, indicando il mannarino, tra i più temibili coltelli del macellaio,  conclude: “La politica deve prendere decisioni impopolari, decidere chi vive e chi muore.”

Noblesse oblige … noblesse oblige, Signore.

 

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