Location a piacere: una qualunque piazza aulica della nostra città (Vittorio, Carignano, Castello, San Carlo). Lo stesso per l’ambientazione: esterno notte molto giovane, con happy hour, smartphone, aperitivo e sostanze d’ordinanza; o esterno giorno più attempato, con famiglia, cane, bambino, suocera o amica single. Quanto allo spettacolo, anche qui la scelta è vostra: una serie di stand in cui i nazisti dell’Illinois, finalmente in tournée a Torino, praticano il pestaggio dell’extracomunitario tutti avvolti in morbida crema di gianduia, ovviamente bio, eco, vegan. O i camerati di Borghezio che vendono salame di rifugiato superdop made in Lampedusa, aspergono i passanti di acqua santa del Po kmzero e illustrano la loro ultima proposta di referendum: fare adottare alle Ferrovie Nord un vagone del treno di loro invenzione, a classi rigidamente separate: padani in prima, maschi in seconda, donne e froci in terza, negri ed ebrei a spingere sui binari in corsa.
Alzi la mano chi pensa che davanti a uno spettacolo del genere un qualunque Censore del Bello di Stato agiterebbe il ditino per telefonare a un giornale ed esternare la sua contrizione per una baracconata o una pagliacciata del genere, che turba prospettive e decoro di una piazza aulica di imprescindibile verginità. Il decennio postolimpico ha ormai anestetizzato e rassegnato chiunque: le piazze di Torino sono in affitto o in vendita per pagare il debito della città. Meglio se con cultura usa e getta, a velocissimo tasso di assorbimento ed espulsione. Un po’ meno se con bancarelle di cui si vergognerebbe qualunque paesotto di provincia, come quelle che circondano Palazzo Carignano, sede della Sovraintendenza, ogni fine settimana che Dio ha messo in terra. Ma tant’è: servono soldi e cittadini spensierati, quindi tutti a cuccia.
Poi un bel giorno, in piazza Castello, compare un vagone simile a quello che portava a morire innocenti di ogni età e di parecchie fedi e colori. Un pugno nello stomaco, un calcio in zone meno esposte. La gente si ferma a pensare, chi non sa chiede a chi pensa di sapere, la cultura per un istante si riscopre come una pietra d’inciampo: ingombrante, materiale, fastidiosa. Brutta, come lo sterminio di più di cinque milioni di incolpevoli. Prospettiva intollerabile per il Censore del Bello di Stato. Non il primo né l’ultimo dei burocrati a scivolare sulla Shoah come su una buccia di banana. A essere sepolto da un vagone, oltre che da una risata. Rimettendoci per sempre faccia e carriera. Mentre quel vagone, siamo in tanti a domandarlo, non si muoverà da quella piazza per un bel po’ di tempo.
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