A poche settimane dalla Liberazione, l’11 giugno 1945, un gruppo di intellettuali antifascisti torinesi si riunisce presso la casa editrice Einaudi per costituire un’associazione. Tra loro, Norberto Bobbio e Cesare Pavese, Guido Hess, Francesco Menzio e Massimo Mila. Manca ancora Franco Antonicelli, il fuoriclasse che darà l’impronta. Obiettivo: creare un “fronte degli intellettuali” che permetta alle masse di avvicinarsi al mondo della cultura, di farsene un’idea e partecipare. Per sfuggire a una condizione subalterna e migliorare la propria vita.
L’Unione Culturale nasce dunque sotto il cielo di un’utopia ambiziosa e fragile. Conciliare la passione, la curiosità e la competenza in vari campi del sapere, con l’impegno etico e politico di svolgere un lavoro collettivo di liberazione, come divulgatori e come avanguardia. Questa la pulsione che da sempre ha animato chi sta dentro l’UC. Una speranza di emancipazione radicalmente novecentesca e oggi patetica in uno scenario in cui l’esperienza pubblica della cultura pare del tutto assorbita dalla sfera del consumo, dell’intrattenimento o del potere. Mentre quella privata si rinchiude sempre più nello specchio narcisistico del monitor di un computer, tramite cui lanciare al mondo le proprie idee e la speranza che qualcuno le raccolga.
Nei settant’anni di attività dell’UC non c’è grande intellettuale italiano che non sia passato da Palazzo Carignano. Negli archivi ci sono tracce di scambi con quasi tutti i mostri sacri della cultura del Novecento. Si ricorda sempre che negli spazi di via Cesare Battisti ha debuttato Carmelo Bene, è passato il Living Theatre, sono nati il Jazz Club e il Movie Club. Si dovrebbe aggiungere che l’Unione Culturale ha tenuto in mano le redini della vita culturale finché Torino è stata una città industriale. Poi, forse, non ha sempre saputo tenere il passo con i tempi e ha perso smalto e slancio.
Ereditare e rinnovare una storia così lunga e ambiziosa non è facile. A volte può spaventare. Scommettere ancora che la prospettiva di un lavoro culturale collettivo possa appassionare, per non dire emancipare, una massa silenziosa e dispersa di individui, inondata da un’offerta di eventi colossale, tutti rigorosamente calati dall’alto e a bassissimo tasso di impegno e partecipazione, costituisce una presa di posizione probabilmente fuori tempo massimo. Noi ci stiamo comunque provando. L’apprezzamento e il sostegno che abbiamo registrato in quest’ultimo anno di attività è stata la più bella e insperata delle risposte. E dunque la principale ragione che oggi abbiamo per festeggiare, insieme a tutti voi che frequentate il bunker di Palazzo Carignano, i settant’anni di UC.
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