Un uomo libero, dice il poeta, lo riconosci da come ordina un bicchiere d’acqua a un cameriere. Si potrebbe aggiungere, con il primo dei filosofi, che lo riconosci anche da cosa pensa quando assume la più rivoluzionaria delle posizioni oggi consentite: sdraiato, senza fare nulla, bajo el mismo sol di tutti i suoi compagni di niente. Con buona pace dell’ortopedia politica e di ogni umanesimo dalla schiena dritta, è solo quando non stazioniamo eretti, con le spalle al muro e stretti in un angolo da un mondo che ci domina, che riusciamo ad attuare nei riguardi del nostro e dell’altrui potere quella forma di indifferenza (“Per favore, spostati dal sole”) che ci rende ancora minimamente liberi.
Che le vacanze, o il cosiddetto tempo libero, non siano che un pit stop precario, un ricaricare le batterie per poi riprendere a correre, più tonici e performanti, sulla ruota da criceto di un autunno caldo e sterile che dura undici mesi e qualche settimana, lo abbiamo capito tutti. Ma le ferie sono anche il momento dei bilanci e dei grandi propositi. Si torna in città, desiderosi di stravolgere la routine da cui ci si è liberati per un attimo. Quale che sia lo stato d’animo, il rientro sembra infatti scandito da una sola, grande promessa: cambiare vita.
L’impegno e la speranza durano di norma il tempo di una riunione di lavoro, una lezione di prova, un assaggio di dieta, un all you can eat. Colpa della nostra mancanza di radicalità e coerenza, commentano inflessibili i moralisti. Ma anche della realtà contro cui s’infrangono questi buoni propositi. Nel nostro caso Torino: la più depressa, drogata, movimentata e divertita delle città italiane (se le statistiche e gli occhi non mentono).
Quale dunque la modalità specificamente torinese di realizzare, assorbire, deviare e disinnescare le scintille di utopia che coviamo nella testa e nel corpo in quelle poche ore di libertà, sdraiati a toccare il cielo? Per cercare una risposta a questa domanda, insensata o astrusa per le menti per bene, e per dare il bentornato a Torino al suo pubblico, l’Unione culturale organizza un primo ciclo di incontri intorno a questi desideri di rivoluzione in scala uno a uno. Alle loro derive, naufragi e approdi. Quattro iniziative per scandagliare i riti e i luoghi che segnano il ritorno dell’ordinario, il reingresso nelle fabbriche della normalità torinese: dalla movida (il più eclatante dispositivo di integrazione e sfruttamento dell’eccedenza critica diffusa, la servitù volontaria in formato happy hour) alla scuola e all’università (investite e stravolte in anni recenti da una medesima logica riformatrice che le va trasformando nella brutta caricatura di una brutta impresa neoliberale), nella più indebitata delle città italiane. Nei mesi successivi parleremo ovviamente anche di lavoro, economia, cultura e politica. In un percorso collettivo che verifichi quali chances abbiano quelle promesse di liberazione estiva, una volta calate nei meccanismi che plasmano ogni giorno, nel bene e nel male, la libera umanità sabauda.
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