In questo scorcio di fine estate, c’è chi parte e chi torna, chi rimpiange le vacanze e chi non vede l’ora di rituffarsi nella mischia del quotidiano. È tempo di racconti di viaggio e di buoni propositi per la vita attiva che riprende. Come augurio per una stagione 2019/2020 di impegno e coraggio, condividiamo qui di seguito le cronache dal Gay Pride di Odessa della presidente dell’Unione culturale Daniela Steila. Buona lettura e buon rientro a tutte, tutti, tutt*!
Capita, alle volte, di imbattersi nella speranza. Alla fine di agosto mi è capitato di partecipare al Gay Pride di Odessa, città tuttora russofona, orgogliosa della sua centenaria storia multiculturale, ma anche soggetta a spinte nazionaliste e campagne di ucrainizzazione. A differenza che nella vicina (e nemica) Russia, qui il Gay Pride è consentito, ma è fortissima e bellicosa l’opposizione di ogni sorta di fanatismo religioso. Alla vigilia di un festeggiamento annunciato da alcuni sparuti manifesti e un post su Facebook, rappresentanti di tutte le confessioni presenti sul territorio hanno chiesto ufficialmente al governo cittadino di sospendere la manifestazione, mentre gruppi di dimostranti si radunavano intorno alla statua di Pushkin con cartelli inneggianti alla famiglia “naturale”, contro l’“ideologia gender”, ecc. Il giorno del Gay Pride non è stato facile raggiungere il corteo, perché la manifestazione era protetta da robusti cordoni di polizia che non lasciavano passare nessuno. I fanatici, però, erano già in posizione dalle prime ore del mattino. Il corteo si è formato in un luogo protetto, e soltanto una volta radunate tutte insieme le persone hanno iniziato a tirar fuori dalle borse bandiere arcobaleno, cartelli, striscioni… quando la polizia ha concordato con l’organizzazione che fosse possibile muoversi in sicurezza, il corteo è partito tra due ali di poliziotti. Lungo il percorso, di pochi chilometri, ci siamo imbattuti in un gruppetto sparuto ma turbolento di esagitati era fisicamente costretto tra due cordoni di polizia, come una mischia di rugby. Abbiamo saputo dopo che alcuni sono stati arrestati, ma evidentemente la costrizione fisica era in quel momento il modo per lasciare passare noi in sicurezza.
Quando ci siamo avvicinati alla fine del percorso previsto, organizzatori e organizzatrici (in maggioranza donne) hanno ripetutamente chiesto che tutte e tutti mettessero via ogni genere di oggetto simbolico (bandiere, cartelli, vestiario…) in modo da poter defluire in sicurezza. Ci hanno anche ripetuto di uscire dalla manifestazione lungo due specifiche vie, in genere affollate di turisti, dove c’era qualche residuo controllo di polizia. Il giorno prima, avevano postato su fb le istruzioni su come muoversi in sicurezza: cambiare autobus lungo il percorso dalla manifestazione a casa, tenere il cellulare carico e pronto per chiamare un taxi, non indossare nulla di identificabile… E fin qui si potrebbe essere forse più preoccupati che ottimisti.
Ma ecco il seguito interessante della storia. Qualche sera dopo, nell’intervallo del Don Giovanni al teatro dell’Opera, ho riconosciuto al buffet una donna forte, potente, elegante, maestosa, come uno dei non molti uomini non giovanissimi nel corteo del Pride. Per ragioni di sicurezza aveva dovuto partecipare al corteo in abiti maschili, ma ora era lì all’Opera, fieramente femminile. Non c’è dubbio che sarà lei a vincere.
Daniela Steila
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